Dalla collaborazione fra la Biennale del Disegno di Rimini e la European School of Economics nasce questa mostra ospitata nei locali della sede fiorentina della Scuola, a Firenze, in Piazza del Limbo, 1r.

Nella valle in cui abito, una collina punteggiata da abitazioni e intensamente coltivata, pettinata da trattori, imbastita di alberi geometrici e prospettive seminate, talvolta, come una meteora mimetica e priva di suono, mi attraversano la strada dei cerbiatti. Più spesso mi capita di scorgerne le orme, assieme a quelle di un cinghiale o raccogliere spine di istrice ai bordi dell’asfalto, mentre passeggio col cane. L’incanto che queste apparizioni producono nel mio respiro lo sento in qualche misura imparentato con la frenesia ansio- sa che in quei momenti fa vibrare le narici e illuminare gli occhi del bracco. Resto sempre stupito dell’epico talento che permette a certi animali selvatici di resistere, di sopravvivere attorno a noi, malgrado noi, tra i trascurabili interstizi di natura che gli umani hanno lasciato, ai margini delle centurie cartesiane, cucite come un abito stretto su tutto il paesaggio che sta tra le colline e la pianura. Eppure resistono questi partigiani orfani dei boschi, costretti a respirare di notte, a silenziare i propri passi, nel coprifuoco che gli abbiamo imposto, nel rastrellamento armato e sistematico. Organizzano la loro vita, i loro amori e sanno trovare il cibo in rapide scorribande, uscendo da riserve invisibili, riuscendo a scampa- re all’umano nazismo del mondo civile.

Con lo stesso incanto ammiro gli artisti che sanno parlare di loro, che ci restituiscono il senso di quelle apparizioni angeliche e ferali, che riescono a lasciare sul terreno artistico le orme di un essere silvano o ci fanno intuire i cunicoli di una tana, che ci permettono di decifrare i resti di un pasto animale, entro la campi- tura bianca di un foglio da disegno.

È anche la natura primaria dell’atto di disegnare, la pietra focaia della grafite tracciata sulla semplice carta, a creare le condizioni più adatte per incontrare la natura. Un pezzo di carbone, nella mano rapida e determinata di Alberto Zamboni, vibra come il naso del mio cane, quando enumera i tentacoli di un polipo o racconta la sopravvivenza prolungata di un’anguilla sul tavolo di marmo di una pescheria. Un segno cupo e sbavato che esprime il senso di esseri invincibili. Il movimento che avvolge le lotte animali di Mauro Moscatelli ha qualcosa di tellurico, impasta le masse fisiche delle bestie combattenti andando talvolta a formare un’unica ombra, che si muove all’unisono, ma che resta ineffabile. Mentre il groviglio di segni che nasconde il popolo dei lupi nelle macchie forestali di Dacia Manto è quasi un disegno agli infrarossi, come una telecamera notturna che rileva il passaggio furtivo e guardingo di questi abitatori dei sogni, invisibili a occhio nudo.

Fino al 6 maggio 2017
Piazza del Limbo, 1/r  Firenze