Giunto alla diciassettesima edizione, il River to River Florence Indian Film Festival è l’unico appuntamento in Italia dedicato alla cinematografia indiana, la quale grazie al festival scopriamo essere non solamente costituita dalle più conosciute produzioni “bollywoodiane”, ma soprattutto da una notevole produzione d’autore in continua crescita. 

©Sabrina Ingrassia

Un cinema d’autore che quest’anno, nelle giornate dal 7 al 12 Dicembre, ha toccato tematiche importanti e d’attualità – come i diritti LGBT, l’emancipazione femminile, il fenomeno dei giovani musulmani cresciuti in Occidente che prendono parte alla Jihad, la sessualità – offrendo un coloratissimo spaccato della cultura indiana e riscontrando il favore del pubblico. Vincono infatti quest’edizione, grazie al voto della giuria popolare, Kajal di Paakhi Tyrewala, corto che cattura il punto di svolta nel percorso di emancipazione di una donna in una società dominata da uomini, e Abu di Arshad Khan, documentario autobiografico sulle relazioni all’interno di una rigida famiglia indiana musulmana, passando per l’omosessualità, la religione, la migrazione e il post 11 settembre. Una pellicola che dimostra, come ha detto ringraziando A. Khan, che ci sono certe tematiche universali che vanno oltre i confini degli stati e i pregiudizi, toccando tutti noi. 

©Sabrina Ingrassia

My Pure Land di Sarmad Masud, candidato dall’Inghilterra agli Oscar 2018, è con merito il film vincitore del festival: un western lirico e intenso sul filo dei flashback, tratto da fatti realmente accaduti in Pakistan, che celebra tre donne forti e indipendenti, determinate a difendere la loro terra da una banda di uomini armati assoldati dallo zio, che vuole appropriarsene. Alla prima italiana era presente anche una commossa Suhaee Abro, l’attrice protagonista, che ha raccontato come interpretare il ruolo di Nazo sia stato importante e d’ispirazione anche per la sua vita personale. Un’edizione del River t River che ha dedicato quindi grande spazio alla figura della donna, come d’altronde già anticipato dall’immagine della locandina.

Nell’anno in cui l’India celebra poi i 70 anni della sua indipendenza, il festival si è aperto con l’annunciato “dramedy” Newton di Amit Masurkar, candidato dell’India agli Oscar 2018, ambientato durante le elezioni nel paese, che pone a riflettere sul significato di democrazia. Un’occasione anche per ammirare il notevole talento dell’attore Rajkummar Rao, che, dopo l’interpretazione del risoluto, testardo e involontariamente comico Newton, lo si è ritrovato poi nelle vesti del terrorista Ahmed Omar Saeed Sheikh nel film di chiusura del festival, Omertà, di Hansal Mehta. Un film quest’ultimo, come ha dichiarato il regista in sala, scomodo ma necessario, che cerca di indagare i motivi per cui alcuni individui scelgano la violenza per fronteggiare delle ingiustizie che oggettivamente ci sono nel mondo. 

©Sabrina Ingrassia

Ed è proprio seduti in sala con questa sensazione un po’ “scomoda” lasciata dal film di chiusura del festival, che in fondo si è potuto riesaminare l’incredibile mosaico di diversità e culture proposto in questi giorni dai registi, comprendendone l’universalità e come certe tematiche in realtà uniscano trasversalmente tutti noi. 

L’offerta del festival non è poi finita qui, articolandosi in una serie di eventi in città, come cene indiane, talk, lezioni di cucina, indian party e una mostra fotografica sul mix di culture e il sereno disordine delle megalopoli indiane intitolata Instant Kharma di Wolfgang Zurbornospitata dalla Fondazione Marangoni e visitabile gratuitamente fino al 31 gennaio.