There’s no need to have an in-depth knowledge of the Chinese culture to appreciate the works of Liu Ruo Wang. Although deeply rooted in the traditional concept of his land, his works possess an energy and power that makes them understandable to anyone. Mostly, because of a tendency towards gigantism that leads the artist to conceive large-scale works, capable of polarizing the environment and space through a simple and sublime narrative that fits the classic myth in the context of today’s globalized civilization. Whoever had the good fortune to see Black Wolves, a herd of nearly one hundred wolves in iron, full size and with jaws wide open and bleeding, understands what I mean.

That installation, exhibited in the San Marino Pavilion at the Venice Biennale of 2015 and the same year at the University of Turin (in collaboration with the Confucius Institute), shows some of the typical features of Liu Ruo Wang’s sculpture: the scenic impact, the dramatic tension, the dynamism, but also a certain solemnity. Whether it is the herds of ravenous wolves, like those of Black Wolves and the previous Wolves Coming or of a group of primates that look like escapees from a sequence of the Planet of the Apes, as is the case of Original Sin, or even of fighters peacefully absorbed in meditation (Melody) and heavenly avengers that demolish the modern weapon of mass destruction (Heavenly Soldiers), hypertrophic the subjects sculpted by Liu Ruo Wang have something remarkable and fabulous. Perhaps because, as a child, in the village of Jia, located in northern Shanxi province, a mountainous region crossed by the Yellow River, Liu Ruo Wang was used to listen to the stories of his grandfather, stories about monks and warriors, magicians and thieves inspired by the classics of Chinese literature.

Aside from the great novels of Chinese tradition, another important source of inspiration for Liu Ruo Wang, were the comics of his older brother, who finally gave a face to the protagonists of the stories of his grandfather. Therefore, the history, mythology and folklore still alive in the rural community of Jia were to shape the imagination of the young Liu Ruo Wang, stirring deep respect for warriors and legendary heroes. Later, after the attendance of the Central Academy of Fine Arts in Beijing and the followed transfer into the capital, with that imagery he engaged an artistic consciousness sensitive to the problems of contemporary society, dominated by scientific and technological progress, but increasingly in conflict with the natural order. The feeling of an offended nature, hurt by profound alterations to the ecosystem is a continuous uncontrollable process of human activity, evident in many works of Liu Ruo Wang dedicated to the animal world. Beyond the easy to decipher metaphor, it’s clear that the furious herds of Black Wolves and Wolves Coming can be interpreted as representing the harsh response of nature to the devastation brought by man. As well as the giant primates of Original sin, lined up in a row, with their eyes turned to the sky in a kind of silent prayer, are symbols of the early humanity, uncorrupted by civilization.

And what about the sculptures dedicated to Dodo, the funny Columbiformes extinct because of the destruction of their habitat by the Dutch and Portuguese colonists? There is no doubt that all the work of Liu Ruo Wang is covered by a thin line of criticism against a world devoted to self-destruction. Liu Ruo Wang is not only a sculptor, but also a painter with a strong propensity towards the large size. In his paintings in central focus the portraits of monkeys, lions and leopards are interspersed with scenes depicting the animals immersed in a wild and sublime collection. As in his sculptures, expressivity prevails in his paintings as well, on the mimetic fidelity and verisimilitude that give way to the power of the image. The animals, even the most ferocious, become the emblems of a pure, untouched world that is about to disappear, the trove of values, just like the myth of heroes, no longer belonging to our age.

ITALIANO

Non è necessario conoscere in profondità la cultura cinese per apprezzare le opere di Liu Ruo Wang. Benché profondamente radicate nell’immaginario tradizionale della sua terra, infatti, esse possiedono un’energia e una forza che le rende comprensibili a chiunque. In parte, anche per via di una tendenza al gigantismo che conduce l’artista a concepire opere di grandi dimensioni, capaci, cioè, di polarizzare l’ambiente e lo spazio attraverso una narrazione semplice e sublime, che adatta i toni epici del mito nel contesto dell’odierna civiltà globalizzata. Chi ha avuto la fortuna di vedere Black Wolves, un branco di quasi cento lupi in ferro, a grandezza naturale e con le fauci spalancate e sanguinanti, sa che cosa intendo.

Quell’installazione, esposta nel Padiglione San Marino alla Biennale di Venezia del 2015 e nello stesso anno anche all’Università di Torino (grazie alla collaborazione con l’Istituto Confucio), mostra alcuni dei caratteri tipici della scultura di Liu Ruo Wang: l’impatto scenico, la tensione drammatica, il dinamismo, ma anche una certa solennità. Si tratti branchi di lupi famelici, come quelli di Black Wolves e dell’antecedente Wolves Coming oppure di una schiera di primati che sembrano fuoriusciti da una sequenza del Pianeta delle Scimmie, come nel caso di Original Sin, o, ancora, di combattenti placidamente assorti in meditazione (Melody) e vendicatori celesti che demoliscono le moderne armi di distruzione di massa (Heavenly Soldiers), gli ipertrofici soggetti scolpiti da Liu Ruang hanno qualcosa di fantastico e fiabesco. Forse perché, fin da bambino, nel villaggio di Jia, situato nel nord della provincia dello Shanxi, regione montuosa attraversata dal Fiume Giallo, Liu Ruo Wang era solito ascoltare i racconti del nonno, storie di monaci e guerrieri, maghi e briganti tratte dai classici della letteratura cinese.

Accanto ai grandi romanzi della tradizione cinese un’altra importante fonte d’ispirazione per Liu Ruo Wang sono stati i fumetti del fratello maggiore, che finalmente davano un volto ai protagonisti dei racconti del nonno. Sono stati, dunque, la storia, la mitologia e il folclore ancora vivi nella comunità rurale di Jia a plasmare l’immaginazione del giovane Liu Ruo Wang, incutendogli un profondo rispetto per guerrieri ed eroi leggendari. Più tardi, con la frequentazione della Central Academy of Fine Arts di Pechino e il conseguente trasferimento nella capitale, su quell’immaginario si sarebbe innestata una coscienza artistica sensibile ai problemi della società contemporanea, dominata dal progresso scientifico e tecnologico, ma sempre più in conflitto con l’ordine naturale. Il sentimento di una natura offesa, ferita dalle profonde alterazioni recate all’ecosistema da un incontrollabile processo di antropizzazione, si avverte in molti lavori di Liu Ruo Wang dedicati al mondo animale.

Al di là d’ogni facile metafora, infatti, è evidente che i furiosi branchi di Black Wolves e Wolves Coming possono essere interpretati come la rappresentazione della dura risposta della natura alle devastazioni compiute dall’uomo. Così come i giganteschi primati di Original sin, schierati in fila e con gli occhi rivolti al cielo in una sorta di muta preghiera, sono simboli di un’umanità originaria, non ancora corrotta dalla civilizzazione. E che dire poi delle sculture dedicate al Dodo, il buffo colombiforme estintosi a causa della distruzione del suo habitat da parte dei coloni olandesi e portoghesi? Non ci sono dubbi sul fatto che tutta l’opera di Liu Ruo Wang sia percorsa da una sottile linea critica nei confronti di un mondo votato all’autodistruzione. Liu Ruo Wang non è solo uno scultore, ma anche un pittore con una spiccata propensione verso le grandi dimensioni. Nelle sue tele i ritratti in primissimo piano di scimmie, leoni e leopardi si alternano a scene che ritraggono gli animali immersi in una natura selvaggia e insieme sublime. Come nelle sculture, anche nei dipinti l’espressività prevale sulla fedeltà mimetica e la verosimiglianza cede il passo alla potenza dell’immagine. Gli animali, perfino quelli più feroci, diventano, gli emblemi di un mondo puro e incontaminato che sta per scomparire, depositario di valori che, esattamente come il mito degli eroi, non appartengono più alla nostra epoca.