Alfred Mirashi, in arte Milot, al Museo Arcos di Benevento

E’ da un po’ di tempo che il mio amico, studioso d’arte, Nello Valente mi parla di Alfred Mirashi, in arte Milot. Al di là della mia proverbiale riluttanza ad accettare consigli e suggerimenti, devo ammettere che Nello è riuscito con straordinaria naturalezza ad aprire il mio interesse verso quest’artista che, già di primo acchito, mi era apparso per certi versi vulcanico, impetuoso, per altri docile e sensibile. Avrei scoperto poi, dalla conoscenza più intima della sua vita, le motivazioni profonde di questa condizione, di questa sua particolare apprensione. Milot vive il travaglio del sacrificio, che si porta dentro, della fatica di chi ha dovuto, in certi casi, piegarsi per aprirsi al mondo, ma nello stesso tempo gode il piacere della sua arte. Un’arte che è espressione e testimonianza di un cammino, del suo cammino, e che si manifesta nella tematica della chiave. Chiavi, quelle di Milot, che consentono di custodire, proteggere, entrare o uscire: chiavi della libertà; chiavi per aprirsi al mondo, per costruire ponti verso gli altri, dove gli altri possono anche essere diversi. Nel lavoro di Mirashi c’è tutto il suo vissuto.
Le sue opere propongono una sorta di laica spiritualità, un mistero che l’artista viola per rivelarne l’essenza. Credo che le chiavi di Milot rappresentino soprattutto l’accesso a verità universali, la scoperta dell’impenetrabile: insomma un atto di fiducia verso l’uomo per offrirgli l’opportunità di andare oltre i confini dei propri limiti e varcare l’invalicabile. Dall’incontro di due culture vicine e pur tuttavia distanti, come quella albanese, la sua terra di origine, e quella italiana, la terra che l’ha accolto, e fatto crescere, l’artista coglie il suo cammino nell’arte. Negli ultimi anni le opere di Alfred hanno come protagonista la chiave, simbolo apparentemente ossessivo del concetto di apertura verso gli altri, quasi a voler riaffermare che solo l’arte può essere strumento per il superamento delle diversità. ” Una chiave – sostiene lo stesso Milot – va utilizzata una volta sola per aprire porte e cuori. Dopodiché va piegata affinché non serva più a richiudere ciò che ha aperto”. Attento all’incontro tra le diverse culture, alle criticità della globalizzazione usa magistralmente i linguaggi della contemporaneità in un continuo dialogo tra pittura e scultura. Mai esausto nel ricercare nuove forme espressive, crea personali trascrizioni dell’uomo del XXI secolo, dove i materiali, gli oggetti, le figure, i paesaggi primordiali sono resi dapprima con colori sobri, poi connotati di straordinaria vivacità cromatica e purezza formale. Nella sua irrequietezza e vivacità artistica non disdegna le sfide, da quelle locali a quelle internazionali, intrattiene rapporti di collaborazioni con artisti affermati, le sue opere sono apprezzate non solo in Italia ma anche all’estero. Ha partecipato ultimamente alla Biennale d’arte contemporanea di Pechino e ha vinto il primo premio di pittura al Water Cube; ha realizzato per il paese dell’Irpinia che lo ospitò, quando giunse in Italia profugo dall’Albania, una scultura da Guinness: una gigantesca chiave a forma di U alta 20 metri e pesante 40 quintali dal titolo “La chiave di Cervinara”. Milot ha 19 anni quando a Durazzo sale su un barcone senza un soldo in tasca, senza vestiti di ricambio, senza una valigia. E senza neppure rendersi conto di quel che sta accadendo, è risucchiato da una fiumana di gente che sta scappando in massa da un’Albania resa povera e senza futuro dalla fine del regime di Enver Hoxha. “La mia famiglia – spiega Milot – viveva nei ‘gulag’, eravamo schiavi dei campi, e a noi era vietato studiare perché condannati per sempre ai lavori forzati nelle campagne. Fu così che, per me, l’Italia divenne una sorta di terra promessa”. Approda a Brindisi e casualmente arriva in Campania, dove è accolto dalla comunità cervinarese e in particolare da alcune famiglie che lo aiutano nella crescita. Già da bambino ha una forte vocazione per l’arte, sogna un futuro d’artista in un territorio dell’Italia che lo adotta e gli apre le porte. Milot entra a Brera, dove si fa subito spazio, tant’è che nel ’99 i quotidiani di Milano titolano “Un albanese vince il primo premio all’Accademia di Brera”. Nella personale dal titolo A Key for Humanity, a cura mia e di Nello Valente, che il Museo Arcos di Benevento gli sta dedicando, ancora una volta protagonista è la chiave, ormai elemento distintivo della sua arte. Le opere in mostra, in linea con la sua poetica, rappresentano un vero e proprio manifesto, come nel caso dell’autoritratto, dove lo stesso artista, nel gridare il suo messaggio si liberano tante chiavi intorno a sé: un messaggio che parte dalla sua terra per affermarsi in Italia e diffondersi nel mondo. Milot, in un equilibrio espressivo ormai maturo, usa indifferentemente tutti i linguaggi artistici e, nel suo lavoro, padroneggiando le tecniche più disparate, esalta il rapporto sinergico tra pittura e scultura.
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