Afghanistan, 30.9 milioni di abitanti, dei i quali 18.4 milioni necessitano di aiuto umanitario. Gli eventi degli ultimi giorni hanno scosso il mondo, causando sensazioni di paura, di tristezza collettiva, di una realtà senza speranza. Il mondo intero è spettatore della presa di Kabul, dopo la caduta di tutti i capoluoghi e regioni afghane nelle mani dei talebani. Il popolo afgano perde ogni fiducia nei propri sogni, in un futuro democratico e libero mentre noi occidentali cerchiamo strategie opportune per evitare il collasso: corridoi umani, contatti diplomatici e apertura dei confini ai rifugiati politici. Però anche con questi sforzi, rimaniamo attori passivi. I leader mondiali contestano e discutono la situazione, riflettono, dichiarano, ma la necessità di un aiuto umanitario è urgente: per chi si trova in Afghanistan, si tratta di scappare adesso o di subire una realtà insabbiata da un Islam radicale.

L’ipocrisia occidentale continua, con tante parole e poche azioni. Le diplomazie dei vari Paesi sono stordite dagli eventi presenti, però incapaci di pensare alle missioni lanciate nel 2001, agli errori delle loro promesse. Per esempio, il sogno americano avrebbe garantito democrazia, diritti per le donne, educazione, libertà di parola e invece, si rivela una triste verità; gli obbiettivi erano in primis politici. Non va dimenticato che la CIA, quando causò il disfacimento della Repubblica Socialista Democratica dell’Afghanistan decenni fa, fornì armi e supporto finanziario al gruppo ribelle, i futuri talebani. Il caos afgano è contrario all’ideale di una struttura politica democratica, rivelando giochi sporchi e interessi geopolitici molto diversi da quelli espressi nei media e negli accordi ufficiali.

Rimane l’obbligo di un aiuto proveniente dall’Occidente, anzi, un dovere, a seguito degli errori dell’Europa e degli Stati Uniti. La volontà e la capacità di comprendere ed entrare in un dialogo con la cultura afgana non si sono mai realizzate, anzi, si sono focalizzate sul costruire eserciti, più che un futuro stabile per il popolo afgano. Non solo, per le famiglie afghane, ma anche per tutti coloro che hanno collaborato negli ultimi anni, da interpreti a informatori a baristi, combattendo con grande coraggio per un futuro più democratico. Le promesse dei talebani fatte nella loro prima conferenza dopo la presa dell’Afghanistan, dichiarando che i collaboratori con l’Occidente non subiranno ritorsioni, non possono essere accolte che con molto scetticismo. Due mila miliardi di dollari spesi in venti anni da vari paesi occidentali, per cosa?

Adesso, l’accoglienza dei rifugiati afghani è d’obbligo, costituendo una responsabilità morale fondamentale se si vuole mantenere e rispettare il discorso etico portato avanti da decenni. Ciò non solo deve avvenire nel modo più rapido possibile, deve anche svilupparsi sul lungo termine per essere pronti ad ospitare la popolazione nei prossimi anni, offrendo una soluzione più concreta. È un dovere comune, sul quale l’Occidente rimane troppo esitante, e ancora una volta, rischierà di agire troppo tardi.

Mentre le grandi personalità prendono decisioni che sembrano così distanti dalla realtà quotidiana, cosa fanno le donne e gli uomini comuni? Autori del lusso della paranoia, classi sociali privilegiate, ma come aiutare in modo concreto? Una rivoluzione avviene quando una sorella muore e manca il pane in tavola. Nel paradosso, non si può che pensare, discutere su un divanetto, con una tazza di tè in mano. Mi chiedo se non si possa davvero fare niente altro, organizzare azioni che aiutino davvero? Questo è il ritmo con il quale la libertà si perde, riflettendo una quotidianità afgana ormai abbandonata da tempo. Camminando per le strade asfaltate, un popolo guarda il cielo il cui suono è diventato il ronzio di un aereo, poi uno scoppio. Noi, donne e uomini liberi, come possiamo aiutare? Alcune proposte: si può donare ad Afghanaid, un organismo di assistenza alle famiglie afghane per sopperire ai bisogni primari, soprattutto nelle regioni rurali. Anche il Rescue Committee Support, attivo in Afghanistan sin dal 1988, accetta donazioni per sostenere famiglie afghane con ripari, servizi igienici, acqua potabile e altri servizi essenziali. Sostegni finanziari a Women For Women International, una ONG che offre spazi di incontro sicuri a gruppi di donne, sono un’altra modalità di aiuto. Donazioni alla Croce Rossa o a UNHCR sono anch’essi atti ed espressione di solidarietà. In questo caos così lontano ma così vicino, diventa necessario imparare dai propri errori, dalla storia passata e presente, dalle ipocrisie ricorrenti. Per questo motivo, bisogna agire sic et nunc, per salvare un popolo coraggioso che sta gridando aiuto. Non solo, queste iniziative vanno prese anche per dimostrare la volontà di una relazione tra Occidente e Afghanistan, trasparente e onesta.

ENGLISH

Western hypocrisy towards the reality of Afghanistan’s broken dreams

Afghanistan, 30.9 million inhabitants, of which 18.4 million necessitate humanitarian aid. The past few days’ events have shaken the world, sparking sensations of fear, collective sadness, of a hopeless reality. The entire world is a spectator of Kabul’s take-over, after the fall of all Afghan chief towns and regions to the Taliban. The Afghani population loses all trust in their dreams, in a democratic and free future while us westerners, look for strategies to avoid its collapse: human corridors, diplomatic interactions and borders’ openings to political refugees. Yet, even with these efforts, we remain passive actors. Worldwide leaders contest and discuss the situation, they reflect and declare, yet, that of humanitarian aid remains an urge. Indeed, for those who are in Afghanistan, it is about escaping now or suffering a reality covered by a radical Islam.

Western hypocrisy continues, with many words and few actions. Many countries’ diplomacies are stunned by present events, yet unable to consider missions launched in 2001, the errors of their promises. For instance, the American dream would have guaranteed democracy, women’s rights, education, freedom of speech. Instead, a sad reality has been revealed, whereby goals turned out to be primarily political. It shall not be forgotten that the CIA, when it caused the dissolution of the Socialist Democratic Republic of Afghanistan decades ago, supplied weapons and financial aid to the rebel group, who then became the Taliban. The Afghani chaos is opposed to the ideal of a democratic political structure, revealing dirty games and geopolitical interests very different from those expressed in the media and in official agreements.

There remains not an obligation of aid originating from the West, but rather, a need consequential to Europe and the United States’ mistakes. The will and ability to understand and to initiate a dialogue with Afghan culture never occurred, rather, Western’s inclinations and ability were focused on building an army, rather than a stable future for the Afghani population. Not just for Afghan families, but also for all of those who have collaborated with the West in the last years, from interpreters to informers and bartenders, fighting with great courage for a more democratic future. The Taliban’s promises made in their first conference after the take-over of Afghanistan have declared that all collaborators with the West would not suffer retaliation, yet such statements can only be met with extensive scepticism. Two thousand billion dollars spent in twenty years by several Western countries, what for?

Now, the welcoming of Afghani refugees is an obligation, constituting a fundamental moral responsibility if we want to maintain and respect the ethical discourse put forward for decades. This not only needs to happen in the fastest way possible; it also needs to develop itself in the long-term, in order to be ready to host the Afghani population and to offer a more concrete solution. It is a common duty which Western countries have remained too hesitant about, risking once again to act too late.

While big personalities take decisions that seem so distant from daily realities, what can common women and men do? Authors of the luxury of paranoia, privileged social classes, yet how can one help concretely? A revolution occurs when a sister dies, and bread is missing on a table. In the paradox, one can only think, discussing on a couch, with a teacup in their hand. I just wonder if there is really nothing else to be done, organizing actions that would really help? This is the rhythm with which freedom gets lost, reflecting an Afghan everyday life abandoned a long time ago. Walking through paved streets, a population looks at the sky which sound has become the hum of a plane, then an explosion. Us, free women and men, how can we help? Here are some propositions: one can donate to Afghanaid, an assistance organism to Afghani families to provide them with basic needs, especially in rural regions. The Rescue Committee Support, active in Afghanistan since 1988, also accepts donations to support Afghani families with shelters, hygienic services, clean water, and other essential needs. Financial aid to Women For Women International, an NGO which offers spaces for safe encounters to groups of women, are another way to help. Donations to the Red Cross or to UNHCR also are ways of expressing solidarity. In this chaos, so distant yet so close, it becomes necessary to learn from our own mistakes, from past and present history, from recurrent hypocrisies. For this reason, we need to act sic et nunc, to save a courageous population who is screaming for help. Not only, these initiatives need to be taken also to demonstrate the volition to have a transparent and honest relationship between the West and Afghanistan.