Basterebbe l’atmosfera rilassata e naturalmente chic de il Gabbiano 3.0 per rendere consigliabile una visita all’unico ristorante con vista sul porto di Marina di Grosseto. E’ stata una bella sorpresa questo giovane e raffinato ristorante, nato appena tre anni fa per volontà di Marco e Riccardo Tomi: 35 coperti, grandi finestre con vista sul mare, una piacevole terrazza sopra le barche. Uno stile dominato dal legno, caldo e accogliente nonostante le linee pulite, minimaliste, fiori freschissimi, un’ampia zona bar per chi vdesidera un aperitivo nell’attesa del proprio tavolo. Si chiama Gabbiano 3.0 perché è il terzo locale ideato dalla proprietà. La famiglia Tomi, infatti, ha iniziato quindici anni fa con il Bagno Gabbiano Azzurro, poi è stata la volta della pizzeria Gabbianella, il cocktail bar Gabbianino e appunto il ristorante.

Nel 2020 la guida rossa ha riconosciuto una stella Michelin al ristorante Gabbiano 3.0 e quest’anno la Guida de L’Espresso ha riconosciuto un cappello a questa novità tutta maremmana situata in porto di recente ristrutturazione, oggi molto ambito per la sua posizione strategia davanti alle Formiche di Grosseto e quindi al Giglio, a due passi da Castiglione della Pescaia, Punta Ala, con l’Isola d’Elba a nord e il promontorio dell’Argentario e Giannutri a sud. Isole che, quando il cielo è limpido, sembra di toccare, semplicemente stando seduti a tavola. Tutto è molto curato, e anche le porcellane scelte sono esclusive, prodotte da un’azienda italiana, Gaya ceramic, da tempo trasferitasi a Bali dove produce piatti unici per importanti ristoranti stellati del mondo.

Alla guida della brigata della cucina un giovane e talentuoso chef, Alessandro Rossi, che ha conferito al Gabbiano 3.0 un’impronta spiccatamente toscana dove emergono nitidamente le sue autentiche passioni: i fegatini, il maiale, i sapori dell’orto, l’olio extravergine e, ovviamente, stante la posizione del locale e le aspettative della clientela, il pesce, appena pescato. Questo proposito è confermato dalle sua parole, quando afferma: “La mia idea di cucina è quella di legare ciò che abbiamo di fronte a noi, ovvero il mare, con quello che abbiamo alle nostre spalle, ovvero la Maremma più verace. Una unione e anzi una intersezione con i sapori dell’orto. Una cucina di stile mediterraneo, senza disprezzare qualche tecnica francese in alcuni piatti che si prestano ad accompagnamenti più ricchi. Tuttavia, l’uso di tante erbe aromatiche e di sapori delicati si prestano proprio allo stile mediterraneo”. I piatti che propone Alessandro Rossi sono ricchi di suggestioni e contrasti: spiccata freschezza, abilmente coniugata con amarezza e acidulità grazie alle erbe aromatiche e dei prodotti dell’orto, indiscussi protagonisti in tavola.

Un orto a chilometro zero, autoprodotto, vero elemento caratterizzante la cucina del locale, dove sono coltivate 100 varietà di pomodori, tra le quali il tomatillo messicano che sa di formaggio o il pomodoro rosa peloso. Centinaia anche le erbe aromatiche: varie tipologie di crescione, 12 varietà di senape, lamponi gialli, differenti tipi di basilico come il Basilico liquirizia e il basilico cannella per finire con vari tipi di shiso, tutti coltivati localmente. Anche la panificazione è realizzata internamente con una proposta variegata e attenta sia nelle farine utilizzate che nelle preparazioni, servito ancora tiepido agli ospiti. Grande è la cura in ogni cosa ed è palpabile sin da subito.

Alessandro Rossi è nato a Chiusi in provincia di Siena, il 20 aprile 1991. Studi alberghieri a Chianciano Terme, al famoso istituto Pellegrino Artusi. Poi la prima esperienza con Filippo Germasi al ristorante Zafferano a Città della Pieve. Ma la formazione di Rossi comincia con un “cattivo maestro” come Stefano Ciavatti, genio e sregolatezza della cucina di mare, da Fino di Rimini al Jasper di Perugia dove appunto Rossi ha lavorato per quattro anni. È stato uno dei migliori ristoranti del capoluogo umbro, altrimenti povero di alta cucina. Dopo una breve esperienza da Alessandro Dal Degan, all’Hotel Europa ad Asiago, è tornato in Toscana per approdare come chef e socio, alla Leggenda dei Frati di Filippo Saporito nel momento del trasferimento a Firenze. In quei due anni è arrivata anche la prima stella Michelin oltre ai due cappelli della Guida de L’Espresso. Nel giugno del 2020 è approdato al Gabbiano 3.0. Gabriele Palazzi è il suo sous chef e braccio destro. Palazzi viene da Firenze e ha lavorato precedentemente all’Andana, con Peter Brunel dai Ferragamo e ha sostenuto uno stage all’Enoteca Pinchiorri. L’accoglienza è affidata invece a Tiziana Valdiserri, di Livorno, rientrata da un tre stelle in Germania dopo aver lavorato da Niko Romito a Castel di Sangro e al Four Seasons di Firenze.

Due i menu degustazione, con sei e nove portate. Il primo è un menu di mare, con qualche guizzo sulle carni. Ad esempio, la rana pescatrice è cotta avvolta da una rete di maiale (in crepinette) servita al tavolo con la propria brace, accompagnata da carciofi cotti al tegame con grasso di maiale. Alla base il pesce, poi in pratica le erbe della porchetta e la salsa Perigourdine con foie gras, fegato della stessa rana pescatrice e tartufo. Tra gli antipasti si segnalano il “Sanpietro in green” cotto a bassa temperatura, coperto da una pellicola di biete con una bernese al drangoncello e a tavola viene servita una salsa a base di estratti di erbe e un cedro sotto sale. Alla rotondità del pesce e della salsa fanno da contrasto la parte amara e acida degli accompagnamenti. Una nota a parte è per il gambero rosso ligure, servito crudo accompagnato da 25 pomodori diversi (non è una svista, sono davvero 25 diverse tipologie!): crudi, cotti, marinati, essiccati… accompagnato da cocomero, schiuma di cocco e scalogno.

Tra i primi uno spaghettino Felicetti, cotto in estrazione di cipolla bianca, senape e croste di formaggio, servito con lumachine di mare e bottarga di Muggine di Orbetello. Il secondo menu degustazione è un 9 portate, dalle lumache di terra come le cucinava la nonna, cotte in bianco con erbe spontanee come finocchietto, mentuccia e dragoncello, servite con foie gras, salvia, cocco e mais a dare una carezza esotica a tortellini o piccione. Il piccione è proposto così: il petto servito con rucola selvatica e susine; la coscia cotta in barbecue servita con una salsa barbecue; il fegatino con il pan coi santi; il prosciutto di piccione. Molti degli ingredienti usati dallo chef provengono da allevamenti e artigiani locali; se non della zona, della provincia di Grosseto o della regione Toscana. Per esempio le anguille e la bottarga arrivano dalla laguna di Orbetello, l’alga spirulina per il pane da Grosseto, l’olio extravergine è locale e viene prodotto con addirittura il 90% di olivastra seggianese, una varietà di oliva tipica della Maremma amiatina. Per il pesce, lo chef predilige i mercati di Livorno e Piombino, oltre che rivolgersi ai pescatori locali di Marina di Grosseto e Porto Santo Stefano. Per le carni, è ormai consolidato il rapporto con Casa Ceccatelli, il macellaio di Greve in Chianti, che serve il Gabbiano 3.0 per animali da cortile, piccioni, manzo e maiale. Le lumache di terra arrivano da un allevamento di Chiusi. Al momento la cantina è gestita direttamente dallo chef, attenta selezione di ottimi i vini italiani e francesi; meticolosa è la ricerca di piccoli produttori.

Se siete interessati a provarlo, vi sarà utile sapere che il costo dei menu degustazione è di 95 euro per sei portate di pesce e di 140 euro per 9 portate del menu misto. Da tenere presente che nei mesi di luglio e agosto il ristorante è aperto tutti i giorni, solo per la cena, mentre durante il resto dell’anno è aperto sempre, a pranzo e cena, ma chiuso il martedì e il mercoledì.