Quella di Claudia Gamberucci e Alberto Borin è una storia dai tratti molto singolari, lo è il loro essere una coppia gioiosa, lo è l’intesa profonda che c’è tra loro e che avverti immediatamente quando li incontri, lo è il loro essere genitori di uno splendido bambino, così come l’abilità e la lungimiranza imprenditoriale che li ha portati a creare un prodotto di successo, il loro distillato, Upperhand.

Alberto è stato per anni un campione di judo, conosciuto da tutti come Bert, originario di quella parte del Veneto, Santa Teresina, comune di Noventa di Piave, caratterizzata dai bellissimi e sterminati vigneti di pinot grigio e cabernet, ed ha le qualità tipiche che ti aspetti da un ragazzo di quelle parti: è molto caparbio, meticoloso, completamente dedito ad ogni attività che intraprende perché intende fare al meglio, a questo si associa ad una sana dose di ambizione, derivante anche dal percorso sportivo di successo che lo ha “segnato” per cosi tanti anni, fin dall’adolescenza. Anche il nome prescelto deriva da un’espressione linguistica inglese, “get the upper hand” che si usa proprio in ambito sportivo e sta a indicare quando la squadra data per sfavorita, e detta “underdog”, vince contro ogni previsione. Per Alberto la distillazione è “questione di famiglia”, perché suo padre si è sempre occupato di grappa. Claudia, sua moglie, è italo-scozzese, nata in Scozia da madre di origine irlandese e padre di origine italiana, e la sua vita è sempre stata armoniosamente divisa tra queste due realtà, tra queste due identità, fino a consolidarsi nel cuore della Toscana. Claudia discende della storica famiglia irlandese dei Lafferty’s, originari del Nord Ovest dell’Irlanda e che per generazioni si sono dedicati alla distillazione e alla coltivazione di patate.

Per comune assonanza, aspirazione e inclinazione personale, Claudia e Alberto hanno deciso di dedicarsi alla distillazione, affinché anche in questo ambito si concretizzasse il loro progetto di vita, come coppia, come famiglia ed anche come soci nell’azienda che hanno costituito. Senza indugiarci troppo, hanno deciso di cambiare la loro vita, di trasferirsi in Scozia, hanno iniziato a studiare e approfondire professionalmente quella che era nata come una passione personale. Di quella passione, nel 2017, hanno realizzato un’impresa che produce il gin Upperhand, un “distilled dry gin” che viene prodotto con la migliore maestria artigianale in una piccola distilleria di Tipperary, in Irlanda. Un distillato dove di Toscana c’è tanto, infatti oltre al basilico ligure, all’aneto irlandese e alle bucce di limoni della Sicilia, spicca il proprio il ginepro toscano. Molto sofisticato è il packaging, grande è stata la ricerca estetica sul marchio, sull’immagine che veicola il prodotto e la bottiglia dal ricercato design è caratterizzata dal color tiffany, “tutta opera di Alberto”, precisa Claudia.

Con Claudia e Alberto ci siamo conosciuti durante una cena organizzata per la stampa proprio per “testare” il distillato in abbinamento alla cucina. Il luogo prescelto una delle terrazze più affascinanti di Firenze, con una vista molto suggestiva sul centro storico, la terrazza “segreta” del Panorama Restaurant in via Guicciardini, dove lo chef Salvo Pellegriti ha allestito un menù ad hoc per esaltare le quattro botaniche che compongono la base di Upperhand, aneto, limone, basilico e naturalmente ginepro. Insieme ad ogni portata, il bartender trevigiano Livio Carrubba ha preparato un cocktail diverso, sempre a base di questo inedito gin, volto ad esaltarne la versatilità.

Ecco dunque l’antipasto di Carpaccio di ombrina dry age con mela verde e granita di aneto e gin accompagnarsi al “Gin Morning Baby”, il Riso al limone di mare con limone alla brace e sedano croccante alle prese con il “Ginto”. E ancora, il Pescato del giorno cotto alla coque, insalata di taccole e susine confit  servito con panna acida al ginepro in abbinamento al cocktail “Uh, Gimlet!”, e infine il dessert di Pomodoro, fragole e basilico degustato insieme al “Basjito”.

Una prova di versatilità brillantemente superata. “Per noi – spiega Claudia Gamberucci – era importante mostrare agli addetti ai lavori come grazie al suo semplice ma ben strutturato mix di botaniche il nostro gin si possa utilizzare a tutto pasto, dando vita a un gioco di reciproci richiami sensoriali tra il bicchiere e il piatto”.