La vera angoscia dello spettatore è che il sipario, una volta chiuso, non si riapra mai più. Che la convenzione della finzione non ricominci, che il Teatro finisca. Con la pandemia ci siamo andati vicini: queste grandi platee, silenziose e vuote, si erano trasformate nella scenografia del botta e risposta tra la Fata Turchina e Pinocchio:

“In questa casa non c’è nessuno.
Sono tutti morti.”
“Aprimi almeno tu!”
“Sono morta anch’io.”
“Morta? e allora che fai costì alla finestra?”
“Aspetto la bara che venga
a portarmi via.”

La bara, almeno quella del teatro, non è arrivata, e Niccolini, Pergola e Rifredi hanno riaperto. È un inizio prudente, un “torno ma non so per quanto”, perché tutti i teatri italiani possono programmare solo fino a fine anno, e poi si vedrà. Ma sono tre cartelloni fitti di date, e variegati. C’è Napoli (al Niccolini Basile e il magnifico Sik-sik di Eduardo, le cui poesie vanno di scena nel saloncino della Pergola) e c’è un po’ di Firenze (alla Pergola con il XXXIII canto del Paradiso, e Pinocchio, e Massini, la Fallaci al Niccolini, e molte produzioni locali a Rifredi). Ci sono un po’ di classici (de Marivaux, Joyce, Pirandello alla Pergola, Beckett al Niccolini), c’è la Spagna (a Rifredi con Maddalena Crippa & Mirò e i Primitals, unica presenza internazionale sulla scena fiorentina in questa mezza stagione). E ci sono varie altre idee sceniche inedite che popolano i tre palcoscenici – da una “Germania anni ‘20” di Sepe su Weimar alla Pergola, a un’Eneide reincarnata negli sbarchi mediterranei di oggi a Rifredi.
Più incerti, solo poche date iniziali, i calendari dei teatri più piccoli, ma non “minori”, quelli che poi preferiamo perché sono le vere sentinelle della cultura diffusa – Antella, Florida. Di altri – Laudi, Cestello, Lumière – ancora si sa poco, e si potrebbe anche temere che il “sipario non si riaprirà”. La pandemia offre una scusa perfino alla vergogna cittadina del Goldoni: una bomboniera perfetta per la prosa e la musica e l’opera da camera, ma da sempre aperto col contagocce.
Consoliamoci col risorgere del Niccolini, che arriva dove altri si erano fermati. L’iniziativa di un imprenditore della cultura di successo, Antonio Pagliai, e di un impresario di antico corso, Roberto Toni, fa riscoprire l’antico “hohomero”, tirato a lucido sotto la sua stravagante effige in bella vista in via Ricasoli: è una bomba che esplode, l’emblema dell’Accademia degli Infuocati che nel 1652 fu creata in scissione dall’Accademia degli Immobili.
Ecco: al diavolo l’immobilità degli ultimi mesi, usciamo e occupiamo di nuovo queste sale che vengono da lontano, sopravvissute fin qui alla globalizzazione, alla realtà virtuale e digitale, alla pandemia. Riusciranno, registi e attori, impresari e maschere, a capire di cosa abbiamo bisogno, come spettatori di questi tempi? I teatri fiorentini ci provano con i classici, con il comico, con quello che era previsto avanti la pandemia ed è stato rimandato. Gli spettatori fiorentini avranno ansia di applaudire, o di addormentarsi, ma non sono gli stessi che applaudivano o si addormentavano prima della pandemia. Nessuno di noi sa esattamente di cosa abbia bisogno, oggi, dopo la pioggia. “Luce!”, invocava Amleto, agli attori – e noi con lui.

Gli ultimi giorni di vita di Oriana Fallaci, a Firenze, nell’estate del 2006…Nel quindicennale della scomparsa della giornalista e scrittrice, al Teatro Niccolini di Firenze, in prima nazionale, lo spettacolo “Morirò in piedi”, riduzione teatrale di Roberto Petrocchi dell’omonimo libro-intervista di Riccardo Nencini (edizioni Polistampa), considerato il testamento morale di Oriana.
Un “corpo a corpo” sul filo dell’intimità, attraverso cui Oriana rivela la sua identità di donna prima che di “scrittore”: il suo amore per la vita, il porsi di fronte alla morte senza paura, con dignità, l’insegnamento dei genitori, la lotta per la libertà, il rimpianto per la mancata maternità ed il fluire crudele del tempo. Un testamento morale che ne restituisce l’immagine più autentica, oltre il “personaggio” che ha alimentato fazioni e contrapposizioni.
©photo Teatro Niccolini Firenze

INGLESE
The curtain reopens,
our fear applies

The spectator’s fear is that the theatre curtain, once closed, will never reopen, that the convention of fiction won’t restart again, that the Theater ends. With the pandemic we came close to that scenario: these large, silent and empty audiences had become the venue of the first meeting between the Blue Fairy and Pinocchio:

“There is nobody in this house.
They are all dead.”
“Open me at least you!”
“I’m dead too.”
“Dead? so what are you doing there at the window?”
“I’m waiting for the coffin to come and take me away.”

The coffin, at least the one of the theater, has not arrived, and Niccolini, Pergola and Rifredi reopened. It is a prudent start, a “I come back but I don’t know for how long”, because all Italian theaters can only program until the end of the year, and then we’ll see. But they are three half-seasons full of shows. There is Naples (at Niccolini Basile and Eduardo’s magnificent Sik-sik, whose poems are staged in the Saloncino della Pergola) and there is a bit of Florence (at the Pergola with the XXXIII canto of Paradise, and Pinocchio, and Massini, and Oriana Fallaci at the Niccolini, and many local productions in Rifredi). There are some classics (de Marivaux, Joyce, Pirandello at the Pergola, Beckett at the Niccolini), there is Spain (in Rifredi with Maddalena Crippa & Mirò and the Primitals, the only international presence on the Florentine scene this mid-season). And there are various other new scenic ideas that populate the three stages – from Sepe’s “Germany of the 1920s” on Weimar to the Pergola, to an Aeneid reincarnated in today’s Mediterranean landings in Rifredi. More uncertain, only a few initial dates, are the calendars of the smaller theaters, the ones we prefer because they are the true sentinels of a widespread culture – such as the theatres of Antella and Cantieri Florida. Of others – Laudi, Cestello, Lumière – little is known yet, and one might even fear that the “curtain will not reopen”. The pandemic offers an excuse even to Goldoni’s city sin: a perfect place for prose and music and chamber opera, but which has always been open in a shameful limited way. Let us console ourselves with the resurgence of Niccolini, who arrives where others had stopped. The initiative of a successful cultural entrepreneur, Antonio Pagliai, and a well experienced impresario, Roberto Toni, rediscovers the ancient “hohomero”, (as Florentines pronounce the ancient name of the theatre), under its extravagant effigy in plain sight in via Ricasoli: it is an exploding bomb, the emblem of the Accademia degli Infuocati which in 1652 was created in splitting by the Accademia degli Immobili. Here: to hell with the immobility of recent months, let’s go out and occupy these rooms that come from afar, which have survived so far globalization, virtual and digital reality, the pandemic. Will directors and actors, entrepreneurs and ticket sellers able to understand what we need as spectators these days? The Florentine theaters try with classics, with comedies, with what was scheduled before the pandemic and has been postponed. Florentine spectators will be anxious to applaud, or to fall asleep, but they are not the same ones who applauded or fell asleep before the pandemic. None of us know exactly what we need today after the rain. “Light!”, Hamlet invoked, to the actors – and we do the same with him.